image_pdfimage_print

CORONAVIRUS- MODA-Le imprese della moda sarda tra voglia di ripartire
e dubbi per il futuro: 325 aziende e 763 addetti. Il problema delle
scorte di magazzino ormai invendibili. Ma c’è chi ha usato i 2 mesi di
lockdown per studiare e crescere. Matzutzi (Confartigianato Sardegna):
“Dobbiamo salvare il settore e la filiera: incentivare i consumi e
abbassare i costi sui dipendenti”.

Atelier chiusi, cucitrici spente, sfilate annullate, cerimonie
rimandate, mercati, nazionali e internazionali, sospesi, e di
conseguenza, fatturati azzerati.

Per la moda artigiana della Sardegna e della produzione degli
accessori, 270 realtà con 553 addetti, l’impatto della quarantena è
stato pesante e ancora più dura si sta rivelando la ripartenza, tra
crisi di liquidità, spese da affrontare e gestione della sicurezza
aziendale.

“La voglia di ricominciare dei nostri stilisti artigiani, di aprire i
laboratori e ricominciare a creare è tanta, cosi come è tanta la
volontà di mostrare l’eccellenza delle loro creazioni – commenta
Antonio Matzutzi, Presidente di Confartigianato Imprese Sardegna – ma
tutto questo è possibile solo se ci saranno interventi straordinari
per salvare le imprese del comparto: la filiera artigianale della moda
non può essere spazzata via”. “Però, purtroppo, ci arrivano anche
tante segnalazioni di imprese che stanno già facendo i conti con i
mancati incassi di una stagione – continua Matzutzi – che temiamo non
possa ripartire, causa l’azzeramento del fatturato relativo alla
collezione primavera-estate e con l’annullamento di cerimonie ed
eventi che pregiudicano le attività delle sartorie.”

Nell’epoca pre-Covid, il settore isolano dell’abbigliamento, tessuti,
calzature e accessori, poteva contare su 325 imprese, di cui 270
artigiane; queste ultime rappresentavano l’82,8% delle attività
produttive del settore. Da non dimenticare come su un totale di 763
addetti, ben 553 venivano dalle realtà artigiane. Nel 2019, verso i
mercati esteri, volarono prodotti del “fashion sardo” per un valore di
oltre 22 milioni di euro.

Adesso, secondo una recente analisi a livello nazionale, il 50% di
queste attività rischia di non avere la forza di continuare. Infatti,
le micro, piccole e medie imprese del settore moda sono
prevalentemente a conduzione familiare e sono a rischio di chiusura
definitiva. Recenti rilevazioni di Confartigianato, hanno evidenziato
un calo del 50% del fatturato a marzo, più accentuato rispetto al calo
della produzione. Ne consegue che in molti settori le imprese “hanno
lavorato per il magazzino”, incrementando le scorte. Di conseguenza,
al momento della ripresa della domanda, i livelli di produzione non
saliranno con la stessa velocità, dato che le imprese soddisferanno le
richieste iniziali di prodotto smaltendo le scorte accumulate in
magazzino. Sempre secondo questa rilevazione, emerge una produzione
più che dimezzata per cuoio, borse, pelletteria e selleria, pellicce
(-52,5%) confezione di articoli di abbigliamento (-55,1%),
gioielleria, lavorazione delle pietre preziose (-57,4%), calzature
(-59,0%).

Dal monitoraggio che Confartigianato Sardegna ha effettuato durante i
2 mesi di lockdown, verso le imprese sarde della moda, emerge come
siano tanti  gli imprenditori che hanno usato il tempo per studiare,
aggiornarsi, scambiarsi idee, usando le “comunità di settore”, ma
anche progettare e implementare l’attività delle vendite on line e
tenere il contatto con la propria clientela attraverso i webinar.

“Tanti di loro si sono anche “reiventati” per sopravvivere per
affrontare i mancati incassi, producendo mascherine e camici –
sottolinea Matzutzi – ma la verità che è che tutte le realtà hanno nei
magazzini intere collezioni invendute e, ad ora, inservibili”.

Come dimostrano la realtà della Sardegna, il sistema moda territoriale
è rappresentato da una vasta rete di piccoli artigiani, che dal
disegno al taglio realizzano capi unici. Da sempre la ricetta vincente
è stata quella di presentarsi sul mercato con creatività e qualità
soprattutto per contrastare la concorrenza da parte di aziende che
utilizzano il brand “artigianale”, quando di fatto si tratta di
prodotti importati o realizzati in serie e di lavoratori che operano
senza il rispetto delle normative a cui sono invece sottoposti i loro
colleghi.

Secondo Confartigianato Sardegna, è in questo contesto, così
difficile, che le imprese stanno operando per continuare a lavorare,
per garantire i posti di lavoro e gli stipendi ai dipendenti.

“A questi fattori si aggiunge anche il problema psicologico – continua
il Presidente – i consumi saranno più contenuti, perché le persone
sono psicologicamente provate e refrattarie a spendere per acquistare
capi fashion. Ricordiamoci che il fattore tempo, per un’impresa che
sta annegando, è l’elemento determinante per la sua sopravvivenza”.

Però, per Confartigianato Sardegna, le strategie per affrontare questo
periodo, e per recuperare competitività a livello mondiale, possono
essere messe in campo con l’abbassamento dei costi fiscali sulle
maestranze, con l’incentivazione dei consumi e con la riduzione
dell’imposta sul valore aggiunto per i prossimi 12 mesi.

“E’ molto importante ciò che sta facendo l’ICE, l’Agenzia per il
Commercio estero – sottolinea il Presidente – che prevede assistenza,
incentivi all’export, gratuità alla partecipazione alle fiere fino al
primo semestre del 2021, formazione e realizzazione di servizi alle
imprese senza alcun costo”.

“Al di la di tutto, ora più che mai – conclude Matzutzi – sarà
fondamentale farsi riconoscere ed acquistare prodotti sardi e italiani
per favorire una rinascita che sia decisa e immediata”.

Pubblicità