Il lavoro povero in Italia: la sfida di garantire la dignità dei lavoratori e combattere la disuguaglianza
Il fenomeno del “working poor” è stato introdotto vent’anni fa con i film di Ken Loach, rivelando al pubblico la presenza di una grande massa di lavoratori che non guadagnano abbastanza da superare la soglia della povertà. In Italia, il problema del lavoro povero è sempre più diffuso, ed è diventato una vera e propria emergenza sociale.
Uno studio commissionato dal precedente Ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha rivelato che un quarto dei lavoratori italiani è a rischio povertà. Considerando che gli occupati in Italia sono oltre 23 milioni, ci troviamo di fronte a una platea di 5 milioni e ottocentomila persone in grande difficoltà. I “working poor” sono rappresentati da precari, immigrati, personale a servizio della gig economy, part-time involontario, giovani del Sud e donne.
Secondo l’economista dell’Ocse, Andrea Garnero, che ha partecipato allo studio del ministero di via Veneto, il lavoro povero deriva dai bassi salari, ma soprattutto dal fatto che molti dipendenti sono costretti a lavorare meno ore di quante vorrebbero. L’Italia ha il dato più alto dei Paesi Ocse di part time involontario. A questo bisogna aggiungere il precariato, che riguarda una grande parte dei giovani e delle donne che lavorano in Italia.
Inoltre, ci sono anche 500.000 lavoratori che non solo fanno fatica a vivere dignitosamente, ma non avranno neanche una pensione sufficiente. L’indagine sui redditi dei parasubordinati, realizzata da Nidil Cgil e Fondazione Giuseppe Di Vittorio, ha portato alla luce questa emergenza sociale.
Il reddito medio di 211.000 collaboratori nel 2021 è stato di 8.500 euro lordi, con 11.000 euro per gli uomini e 7.000 per le donne, che costituiscono il 60% del totale. La fascia di età fino a 34 anni rappresenta il 48% e guadagna in media 5.700 euro, mentre gli adulti da 34 a 64 anni sono il 49% e guadagnano 11.000 euro lordi all’anno. I senior, oltre i 65 anni, sono poco più del 2% e hanno un reddito lordo annuo di quasi 15.000 euro.
Ci sono poi 341.000 professionisti che hanno portano a casa 15.800 euro lordi: 18.400 euro gli uomini e 13.200 le donne, che sono circa la metà. Le partite IVA under 34 sono il 33% e guadagnano mediamente 12.300 euro lordi l’anno, quelli tra i 35 e i 64 anni hanno un reddito lordo medio di 17.600 euro. Gli over 65 sono il 3% del totale e dichiarano circa 18.300 euro.
Il lavoro povero riguarda anche il lavoro dipendente, in cui il 30% dei lavoratori guadagna meno di 12.000 euro lordi all’anno. Elena Granaglia, docente di Economia di Roma Tre e membro del coordinamento del Forum Disuguaglianze e Diversità, evidenzia che il grosso del lavoro povero si riscontra in settori come il turismo, ma anche nei servizi alla persona. Attività così importanti come quelle svolte da chi assiste bambini, anziani e disabili vengono svalorizzate e questo è molto grave.
Il lavoro povero in Italia colpisce in modo particolare le donne e i giovani, con le donne che guadagnano meno degli uomini, soprattutto in lavori part-time. Inoltre, i giovani (tra i 16 e i 34 anni) hanno un’incidenza di bassi salari quasi doppia rispetto al gruppo più anziano (tra i 50 e i 65 anni).
Michele Faioli, docente di diritto della Cattolica e consigliere del Cnel, ricorda che su mille contratti depositati, ci sono 800 contratti pirata: sempre più datori di lavoro puntano al ribasso, oltre al problema della retribuzione mensile, questi contratti sono più deboli per quel che riguarda gli straordinari, la malattia, la maternità e in generale le tutele legate alla persona.
Un anno fa si cominciò a parlare di salario minimo a 9 euro e 50, tuttavia l’allora governo Draghi non riuscì a mettere in piedi una proposta sostenuta da tutta la maggioranza, e la premier Giorgia Meloni la settimana scorsa è andata al congresso della Cgil per ribadire il suo no al salario minimo.
La situazione in Italia sembra essere particolarmente preoccupante in confronto ad altri paesi europei. Infatti, l’Italia è l’unico paese dell’OCSE ad aver registrato un valore negativo (-2,9%) nella variazione dei salari medi tra il 1990 ed il 2020. In Francia, solo per fare un esempio, in questi ultimi trent’anni le retribuzioni sono aumentate del 31%.
Tuttavia, il lavoro povero è un problema comune a molti paesi europei, anche se la situazione è diversa a seconda dei paesi. In generale, ci sono differenze significative nel mercato del lavoro in Europa, ma il lavoro povero è un problema che colpisce molte persone in molti paesi.
Il lavoro povero in Italia rappresenta un problema serio e diffuso, che colpisce in modo particolare precari, immigrati, part time involontario, giovani del Sud e donne. La situazione è preoccupante, in quanto l’Italia è l’unico paese dell’OCSE ad aver registrato un valore negativo nella variazione dei salari medi negli ultimi trent’anni. Tuttavia, ci sono segnali positivi come le nuove norme sulla giusta remunerazione dei professionisti. È importante affrontare il problema del lavoro povero in modo serio e strutturale, affinché tutti i lavoratori italiani possano vivere con dignità e sostenere le proprie famiglie. Ciò richiede un approccio globale che includa la promozione dell’occupazione, la creazione di posti di lavoro stabili e ben retribuiti, la protezione dei lavoratori e l’adozione di politiche pubbliche efficaci per ridurre la povertà e le disuguaglianze.
il salario minimo
Il salario minimo è un tema molto dibattuto in molti paesi europei, poiché rappresenta uno strumento per garantire la giusta remunerazione dei lavoratori e combattere la povertà salariale. Il salario minimo è il salario più basso che un datore di lavoro è obbligato a pagare ai propri dipendenti per un’ora di lavoro e varia da paese a paese.
In Europa, diversi paesi hanno introdotto il salario minimo per garantire una retribuzione adeguata ai lavoratori e prevenire la povertà salariale. In alcuni paesi, il salario minimo è stabilito a livello nazionale, mentre in altri paesi è stabilito a livello regionale o settoriale. Inoltre, la quantità del salario minimo può variare in base alla qualifica e all’esperienza del lavoratore.
In alcuni paesi europei, come la Danimarca, il salario minimo non è in vigore, poiché il sistema negoziale è basato su un’ampia copertura dei contratti collettivi e sulla negoziazione tra le parti sociali. In altri paesi, come il Regno Unito, il salario minimo è stabilito a livello nazionale e varia a seconda dell’età e della qualifica del lavoratore.
In Germania, il salario minimo è stato introdotto nel 2015 ed è attualmente fissato a 9,50 euro lordi all’ora. Il salario minimo in Germania è stato introdotto per prevenire la concorrenza sleale tra le imprese e garantire una retribuzione adeguata ai lavoratori.
In Francia, il salario minimo è stato introdotto nel 1950 ed è attualmente fissato a 10,25 euro lordi all’ora. In Francia, il salario minimo è stabilito a livello nazionale e varia a seconda dell’età e della qualifica del lavoratore.
In Spagna, il salario minimo è stato introdotto nel 1963 ed è attualmente fissato a 7,14 euro lordi all’ora. Il salario minimo in Spagna è stato recentemente aumentato per combattere la povertà salariale e migliorare le condizioni dei lavoratori.
In Italia, il salario minimo non è attualmente in vigore, ma è stato discusso in passato come strumento per combattere la povertà salariale. L’idea di introdurre il salario minimo in Italia è stata avanzata dal precedente governo Draghi, ma non ha ottenuto il sostegno necessario.
In generale, il salario minimo è uno strumento importante per garantire una retribuzione adeguata ai lavoratori e prevenire la povertà salariale. Tuttavia, il salario minimo da solo non può risolvere tutti i problemi del mercato del lavoro e della povertà. È necessario adottare una serie di politiche pubbliche efficaci per promuovere l’occupazione, creare posti di lavoro stabili e ben retribuiti, proteggere i lavoratori e ridurre le disuguaglianze.
Il salario minimo potrebbe essere paragonato a una fondamenta solida su cui costruire un edificio. Come una fondamenta, il salario minimo rappresenta una base stabile e solida su cui costruire una società equa e giusta per tutti i lavoratori. Senza una base solida, l’edificio rischia di crollare, così come senza una retribuzione adeguata i lavoratori rischiano di cadere nella povertà salariale e l’intera società rischia di essere compromessa. Il salario minimo, come la fondamenta, rappresenta quindi un elemento essenziale per garantire una società sana ed equa.
“Il salario minimo è uno strumento fondamentale per garantire una retribuzione adeguata ai lavoratori e prevenire la povertà salariale. Inoltre, un salario minimo equo è un elemento essenziale per costruire una società giusta e equa per tutti i cittadini.”
Angela Merkel, Cancelliera tedesca.
“L’introduzione del salario minimo ha rappresentato un passo avanti per garantire una retribuzione adeguata ai lavoratori e combattere la povertà salariale. Tuttavia, dobbiamo continuare a lavorare per migliorare le condizioni dei lavoratori e ridurre le disuguaglianze.”
Emmanuel Macron, Presidente fra
“Il salario minimo è uno strumento importante per garantire una retribuzione adeguata ai lavoratori, ma da solo non può risolvere tutti i problemi del mercato del lavoro. È necessario adottare politiche pubbliche efficaci per promuovere l’occupazione, creare posti di lavoro stabili e ben retribuiti e proteggere i lavoratori.” – Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea.
europea
“Il salario minimo è un diritto dei lavoratori, non un privilegio. È essenziale garantire una retribuzione adeguata ai lavoratori per prevenire la povertà salariale e garantire la dignità dei lavoratori.” – Sharan Burrow, Segretario generale della Confederazione sindacale internazionale.
Sharan Burrow, Segretario generale della Confederazione sindacale internazionale.
“L’introduzione del salario minimo è uno strumento importante per garantire una retribuzione adeguata ai lavoratori, ma dobbiamo anche combattere il lavoro precario e migliorare le condizioni dei lavoratori in generale.” – Ada Colau, Sindaco di Barcellona.
Ada Colau, Sindaco di Barcellona.
I maggiori oppositori dell’introduzione del salario minimo sono solitamente le organizzazioni di rappresentanza delle imprese e alcune forze politiche che sostengono l’economia di mercato.
In particolare, le organizzazioni di rappresentanza delle imprese sostengono che l’introduzione del salario minimo potrebbe causare un aumento dei costi del lavoro e quindi ridurre la competitività delle imprese, soprattutto in un contesto di mercato globale sempre più competitivo. Inoltre, sostengono che il salario minimo potrebbe limitare la flessibilità del mercato del lavoro, impedendo alle imprese di adattarsi rapidamente alle esigenze del mercato.
Allo stesso tempo, alcune forze politiche sostengono che l’introduzione del salario minimo potrebbe avere effetti negativi sull’occupazione, soprattutto nei settori a basso reddito e nei territori meno sviluppati, dove le imprese potrebbero essere meno in grado di assorbire i costi aggiuntivi. Inoltre, sostengono che il salario minimo potrebbe causare un aumento dei prezzi e quindi una diminuzione del potere d’acquisto dei consumatori.
Gli oppositori dell’introduzione del salario minimo sostengono che esistono alternative migliori per combattere la povertà salariale e migliorare le condizioni dei lavoratori, come ad esempio la formazione professionale, le politiche di inclusione sociale e l’adozione di misure per aumentare la produttività e la competitività delle imprese.
La situazione negli stati uniti: Il salario minimo federale è stato introdotto nel 1938, durante la presidenza di Franklin D. Roosevelt, con il Fair Labor Standards Act (FLSA). Attualmente il salario minimo federale negli Stati Uniti è di $7,25 l’ora, ma molti stati e città hanno fissato un salario minimo superiore a quello federale. Ad esempio, in California il salario minimo è di $14 l’ora, mentre in New York City è di $15 l’ora. Tuttavia, alcuni settori e categorie di lavoratori possono essere esclusi dal salario minimo federale, come ad esempio i lavoratori agricoli o quelli che ricevono regolarmente mance dai clienti.
Il salario minimo è uno strumento fondamentale per garantire una retribuzione adeguata ai lavoratori e combattere la povertà salariale. Tuttavia, non tutti sono a favore del salario minimo. C’è chi sostiene che l’introduzione del salario minimo possa causare una riduzione dell’occupazione e danneggiare l’economia. Ma perché allora il salario minimo è ancora un argomento così importante per i lavoratori?
In primo luogo, il salario minimo è uno strumento che aiuta a garantire una retribuzione adeguata ai lavoratori. Senza un salario minimo, i lavoratori che svolgono lavori a basso reddito o in settori precari rischiano di cadere nella povertà salariale, lottando per arrivare a fine mese e senza la possibilità di migliorare la propria situazione economica. Il salario minimo è quindi uno strumento essenziale per garantire la dignità dei lavoratori e migliorare le loro condizioni di vita.
In secondo luogo, il salario minimo è uno strumento che aiuta a combattere la disuguaglianza. In un sistema economico in cui i redditi sono sempre più polarizzati, il salario minimo può essere un modo per garantire una maggiore equità tra i lavoratori e combattere le disuguaglianze sociali ed economiche.
Inoltre, il salario minimo può contribuire ad aumentare la produttività dei lavoratori e la competitività delle imprese. Quando i lavoratori ricevono una retribuzione adeguata, sono più motivati e soddisfatti del proprio lavoro, il che può aumentare la loro produttività e contribuire al successo delle imprese.
Infine, il salario minimo è uno strumento che può avere un effetto positivo sull’economia nel suo complesso. Quando i lavoratori guadagnano di più, hanno maggiori risorse da spendere, il che può aumentare la domanda di beni e servizi e stimolare la crescita economica.
Torna la scala mobile?
Lo scorso anno : “La reintroduzione della scala mobile nel settore del lavoro: un primo passo dopo 30 anni”
Dopo anni di lotte e di richieste da parte della sinistra radicale, una breccia si è aperta e la scala mobile sembra tornare in Italia. Si tratta di un’importante novità, poiché questo strumento era stato abolito nel 1991 dal governo Amato, a causa della crisi economica dell’epoca.
La storia della scala mobile in Italia risale agli anni ’50, quando fu introdotta per garantire una maggiore equità tra i salari dei lavoratori. Nel corso degli anni, però, questo meccanismo ha suscitato molte polemiche e critiche, soprattutto per il rischio di innescare una spirale inflazionistica tra salari e prezzi.
Nel giugno 1985, il Partito Comunista Italiano promosse un referendum per cancellare il taglio di tre punti deciso dal governo di Bettino Craxi, primo passo verso l’abolizione della scala mobile. Tuttavia, la consultazione non ottenne i risultati sperati, con il 54,3% dei votanti contrari all’abrogazione della norma.
Il governo Amato, nel 1991, decise di porre fine alla scala mobile, eliminandola completamente e unendola in un’unica voce retributiva, insieme al salario base previsto dai contratti nazionali per ogni livello di inquadramento. Da allora, molti gruppi della sinistra radicale hanno chiesto la reintroduzione di questo strumento, affermando che esso possa garantire maggiori tutele ai lavoratori.
Adesso, grazie all’accordo tra l’Inail e i sindacati, si è aperta la strada per la reintroduzione, anche se parziale, della scala mobile. L’intesa riguarda l’integrativo dei 250 lavoratori dei centri di assistenza Inail di Roma, Lamezia Terme e Budrio, e si tratta di una specificità del contratto dei metalmeccanici. Molti esponenti della categoria hanno già chiesto l’ampliamento dell’accordo.
Stefano Biosa, della Fiom-Cgil, ha commentato l’accordo, affermando che si tratta di un contratto che riesce a salvaguardare il potere d’acquisto dei lavoratori, grazie a un sistema di rivalutazione automatica dei salari. L’intesa prevede l’istituzione di un fondo «indicizzato annualmente sulla base dell’inflazione, in modo da garantire il potere d’acquisto reale del salario dei lavoratori». L’80% dei dipendenti ha approvato il nuovo contratto.
In definitiva, la reintroduzione della scala mobile potrebbe rappresentare una svolta importante per i lavoratori italiani, garantendo loro maggiori tutele e un salario più equo e adeguato all’inflazione. Tuttavia, è ancora presto per capire se questa breccia si allargherà e se la scala mobile tornerà definitivamente ad essere uno strumento diffuso in Italia.
Il salario minimo rappresenta uno strumento essenziale per garantire la dignità dei lavoratori e combattere la povertà salariale. Oltre a questo, può contribuire ad aumentare la produttività dei lavoratori, combattere la disuguaglianza e stimolare la crescita economica. È importante sostenere l’introduzione di un salario minimo equo e adeguato per garantire una società più giusta ed equa per tutti.
Fausto Farinelli