Minacce, prestanome e affari milionari: mentre il Comune tace, Il Fatto Quotidiano, con l’articolo del giornalista Mauro Lissia, allarma Alghero. La criminalità organizzata si insinua nel cuore del turismo sardo, tra l’indifferenza e la paura.

Alghero, cartolina di Sardegna affacciata sul mare, si risveglia in un incubo a occhi aperti. Un biglietto con una foto della spiaggia e una frase agghiacciante: “Scegliti il punto dove scavarti la fossa”. È quanto ricevuto dalla titolare di un chiosco ristorante sul litorale. La sua colpa? Aver rifiutato le offerte d’acquisto – fuori mercato e fuori logica – di ignoti acquirenti, probabilmente prestanome della camorra. Una vicenda che segna il culmine di un’escalation silenziosa ma inarrestabile. Mauro Lissia giornalista de Il Fatto Quotidiano allarma Alghero lanciando un grido che molti sembrano ignorare: la mafia è già qui.
L’allarme, lanciato più di dieci anni fa dai magistrati antimafia Claudio Lo Curto e Mariano Brianda, oggi risuona profetico. Era il 2013 quando, con l’apertura del carcere di massima sicurezza di Bancali, Sassari cominciò ad accogliere decine di detenuti al 41-bis. In parallelo, arrivarono anche le famiglie legate ai clan campani. Con loro, un fiume di denaro destinato a comprare case, attività commerciali, terreni e concessioni. Ad Alghero, oggi, risultano oltre 50 locali tra ristoranti, bar, pizzerie e negozi di souvenir formalmente passati di mano attraverso atti legali, ma con capitali che riconducono in gran parte ai clan Madonna e Cinque. Famiglie al centro di numerose inchieste e processi.
La colonizzazione è avvenuta senza clamore: chi sa, tace; chi non sa, non chiede. A pochi passi dalla storica piazza Civica, dove Carlo V proclamò “todos caballeros” i cittadini, oggi i veri padroni parlano napoletano. Al posto dei cavalieri, uomini d’affari con legami oscuri. Intanto, auto incendiate, lettere minatorie e telefonate intimidatorie disegnano una nuova mappa del potere, fatta di paura e silenzi.
Il sindaco Raimondo Cacciotto, interpellato dai giornalisti, minimizza: “Mai sentito nulla di tutto questo”. Una risposta che sa di resa o peggio, di complicità istituzionale. E mentre le autorità locali si voltano dall’altra parte, sono pochi i coraggiosi che rompono il muro del silenzio. Paolo Bellotti, operatore socio-culturale e scrittore, è tra questi: “Il timore è palpabile, ma negare non serve. Finché scorre denaro, la mafia evita la violenza. Ma ciò non significa che non ci sia”.
La situazione ha attirato l’attenzione anche della magistratura: la Direzione Distrettuale Antimafia di Cagliari ha attivato indagini su compravendite sospette, prestanome e riciclaggio. Sulle scrivanie dei pm Gaetano Porcu e Danilo Tronci stanno arrivando documenti che raccontano una città sotto assedio economico.
Al centro della nuova ondata d’interesse criminale ci sono le concessioni balneari, il vero tesoro della prossima stagione turistica. Si parla di offerte milionarie, fatte anche per spazi che legalmente dovrebbero tornare in gara pubblica. “Quando si rifiuta un’offerta, le chiamate continuano e il tono cambia” racconta, sotto anonimato, un imprenditore del settore. Segno che dietro non c’è solo interesse commerciale, ma un progetto preciso.
Il caso più eclatante riguarda la decisione di Mariano Mariani, direttore del Parco di Porto Conte – già condannato a restituire 915 mila euro alla Regione per la produzione di un film flop – di revocare le concessioni ricadenti nel parco a tutti i chioschi balneari. Una mossa che ha sollevato più di un sospetto: perché azzerare tutto a due mesi dall’estate? E chi trarrebbe vantaggio da questo vuoto?
Domande scomode, in una città dove il silenzio è diventato la miglior difesa. Ma il prezzo dell’omertà rischia di essere altissimo. Come ammonisce Elias Vacca, avvocato ed ex parlamentare: “Dobbiamo avere paura di sottovalutare la mafia. Alghero rischia di diventare un laboratorio dell’infiltrazione mafiosa silenziosa. E quando ce ne accorgeremo, sarà troppo tardi”.



